L’annuncio di Donald Trump sulla nuova Nuclear Posture Review statunitense sempre aprire una nuova corsa agli armamenti nucleari. Si tratta di un cambio di rotta epocale, dalla fine della guerra fredda e dagli accordi che ne sono scaturiti sulla fine della corsa agli armamenti nucleari iniziata con l’approvazione del trattato di non proliferazione nucleare (TNP). C’è da dire che Trump ha ancora una volta reso esplicita una tendenza già in atto, prima di lui. Nella sua Nuclear Posture Review del 2010 il presidente Barack Obama si impegnava a ridurre i numeri e il ruolo delle armi nucleari per la difesa degli Stati Uniti e di procedere con passi concreti verso “un mondo senza armi nucleari”, a “non sviluppare nuove testate nucleari”, limitando la modernizzazione dei sistemi bellici a restauri e riusi, in modo da non permettere “nuove capacità militari”. Di fatto la sua amministrazione è impegnata in un massiccio programma di ammodernamento di tutte le forze nucleari (terrestri, aeree e marittime), incluso lo sviluppo di nuovi vettori e la modernizzazione ed estensione della vita di tutti i tipi di ordigni nucleari, per un impegno di spesa stimato superiore a 350 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni, in costante aumento.
Il Trattato di Non Proliferazione nucleare resta la pietra angolare sulla quale si regge l’impalcatura di non proliferazione globale delle armi atomiche. Sopravvissuto alla caduta del Muro di Berlino, mostra oggi alcune debolezze significative, imputabili da un lato ad una inevitabile vecchiaia e dall’altro ad azioni perpetrate da alcuni attori internazionali che ne hanno indebolito l’efficacia. La crisi di questo trattato, e con esso dell’intero sistema globale di non proliferazione, rischia seriamente di far ripiombare il globo in uno stato di perenne possibilità di guerra nucleare, oppure si tratta di un processo reversibile?
Il TNP è un trattato internazionale sulle armi nucleari che si basa su tre pilastri:
- disarmo;
- non proliferazione;
- uso pacifico del nucleare.
Il TNP fu sottoscritto da Usa, Regno Unito e Unione Sovietica il 1° luglio 1968 ed entrò in vigore il 5 marzo 1970. Francia e Cina (che possiedono armi nucleari) vi aderirono nel 1992 mentre la Corea del Nord lo sottoscrisse nel 1985 ma, sospettata di costruire ordigni atomici e rifiutando ispezioni, si ritirò definitivamente dal trattato nel 2001.
Nel 1970 l’arsenale atomico mondiale contava circa 41.000 testate nucleari e, dopo un picco di 69.440 ordigni nucleari toccato nel 1986 a causa della politica di deterrenza reciproca formulata dalla teoria della distruzione mutua assicurata (MAD), ha cominciato a calare raggiungendo l’attuale quota di circa 23.000 testate nucleari.
Dopo la fine della guerra fredda il TNP cominciò a mostrare i suoi limiti: il numero in relativa riduzione degli ordigni nucleari si è associato a un crescente numero di Paesi che oggi si stima siano in grado di produrre la bomba atomica. Secondo Mohamed El Baradei, direttore dello AIEA, sono circa 40.
La conferenza di revisione del 2005 fu un fallimento, ma nel 2010 i 189 stati membri del trattato sono riusciti ad adottare, per via consensuale, un documento finale che fissa obiettivi di progressivo disarmo. Gli anni seguenti, a parte il raggiungimento del trattato Russo‐americano New START e l’accordo sul programma nucleare iraniano, hanno visto un progressivo isterilirsi delle iniziative di denuclearizzazione, col mancato completamento delle “azioni” previste dall’ottava Conferenza di revisione del NPT, che ha portato al fallimento della successiva Conferenza di revisione, tenutasi nel maggio 2015.
Il 7 luglio 2017 ben 122 Paesi hanno approvato un nuovo testo, che proibisce a livello globale l’uso, la minaccia di utilizzo, la sperimentazione, lo sviluppo, la produzione, il possesso, il trasferimento e lo stazionamento in un Paese diverso delle armi nucleari. La sua premessa fondamentale è il riconoscimento delle “conseguenze umanitarie catastrofiche che deriverebbero da qualsiasi uso di armi nucleari”, così come l’intesa che la loro completa eliminazione “rimane l’unico modo per garantire che non siano mai usate”. Una mossa coraggiosa radicata nel diritto umanitario a detta di Elayne Whyte Gomez, presidente della conferenza Onu che ha elaborato il bando. Una scelta ingenua, secondo le nove nazioni (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Cina, Francia, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele) che si spartiscono le 15.000 bombe e testate nucleari presenti sul pianeta, e secondo i loro alleati, Italia compresa, che hanno in larga maggioranza boicottato i negoziati della commissione e evitato un voto sul testo finale. Questo rifiuto è ribadito in via ufficiale dalla Nato, che boccia il trattato perché “ignora la realtà della sicurezza internazionale, non sarà efficace, non ridurrà gli arsenali nucleari e non contribuirà alla pace e alla stabilità internazionale”. Nei giorni seguenti, proprio durante le commemorazioni per la tragedia del lancio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, anche il Giappone comunica il suo rifiuto di firmare questo nuovo “trattato simbolico”.
Tra accordi dichiarati e non, a livello mondiale sono in programma oltre 1.000 miliardi di investimenti in nuovi armamenti. Si tratta di missili balistici intercontinentali con base a terra (ICBM) o lanciati da sommergibili (SLBM), a gittata corta (SRBM) o intermedia (IRBM o MRBM), missili cruise per aerei (ALCM) o terrestri (GLCM), varie classi di vascelli navali, bombardieri strategici e caccia‐bombardieri, nuovi tipi di testate multiple per bersagli differenziati (multiple independently targetable reentry vehicle – MIRV) e bombe a gravità, nonché nuove fabbriche di armi nucleari.
Progetti che vengono presentati come “modernizzazione” di armi superate, ma coinvolgono in modo globale tutta la filiera delle armi inclusi i sistemi di comando e controllo terrestri e spaziali, le infrastrutture di produzione/manutenzione e le dotazioni e i programmi dei laboratori e dell’industria militari, i mezzi a disposizione della formazione e addestramento del personale, inclusi gli alti comandi e i pianificatori ed elaboratori delle dottrine strategiche e tattiche, con l’obiettivo dello sviluppo qualitativo del complesso dei sistemi nucleari offensivi.
Ciascun Paese ha le sue motivazioni per giustificare la propria scelta a favore dell’armamento nucleare, ma comune è l’insistenza sulla necessità di tali armi per la propria sicurezza, sulla loro indispensabilità a garantire la stabilità strategica globale nell’incerta situazione attuale, da cui il bisogno di mantenere efficienti, affidabili e sicuri i vari componenti del proprio arsenale.
Nei programmi finalizzati all’estensione della vita attiva delle armi attuali (bombe, testate) vengono distinti più livelli di intervento, distinzioni valide anche per quanto riguarda l’ammodernamento dei loro vettori (aerei, missili, navi):
- restauro: i singoli componenti di un ordigno sono sostituiti prima del loro degrado con componenti di modello (quasi) identico o che ne condividono forma, misura e funzione;
- riuso dei componenti: conservazione del nocciolo esplosivo e impiego di componenti secondari presi da altri tipi di testate; può permettere miglioramenti nella sicurezza e qualche potenziamento marginale;
- sostituzione: alcuni o tutti i componenti di un ordigno sono rimpiazzati con modelli moderni che sono fabbricabili più facilmente, forniscono dei potenziamenti marginali, evitano materiali rischiosi o non più disponibili, migliorano la sicurezza, l’affidabilità, l’inviolabilità e il controllo d’uso e offrono la potenzialità per nuovi tipi di missione.
Il primo fondamentale effetto della nuova corsa all’arma nucleare è la potente e inequivocabile affermazione delle armi nucleari come l’assoluto e fondamentale strumento di potere militare, garanzia per una (irreale) sicurezza totale, alle quali pertanto non si può rinunciare. I processi di modernizzazione, considerati necessari e di natura difensiva dai proponenti, appaiono invece destabilizzanti e offensivi per le controparti, causando deterioramento delle relazioni fra le grandi potenze, fattore che contribuisce a ulteriore sviluppo militare.
L’insistenza sull’utilità, se non necessità, di armi nucleari per la sicurezza chiaramente indebolisce il regime di non-proliferazione dato che ogni altro paese è giustificato a mirare ad analoga sicurezza; ciò è particolarmente attuale in contesti ove sono presenti conflitti irrisolti, tensioni territoriali e sviluppi nucleari, quali nell’Asia nord-orientale e nel Medio-oriente.
Il differimento del disarmo nucleare a tempi indefiniti e comunque lontani costituisce un chiaro vulnus al trattato di non proliferazione, violandone l’articolo 6, tenuto anche conto dell’interpretazione unanime della Corte internazionale di giustizia (8 luglio 1996).
Ulteriori problemi al NPT vengono dalla decisa volontà di Israele di conservare le proprie armi nucleari, rendendo così inattuabile la creazione di una zona priva di armi di distruzione di massa in Medio Oriente, impegno preso nella Conferenza di revisione del 1995 e riconfermato nelle Conferenze di revisione del 2000, del 2010 e del 2015.
Anche il secondo fondamentale limite alla proliferazione, il blocco dei test esplosivi, è messo a rischio dai piani di sviluppo di testate completamente nuove, in particolare miranti allo sviluppo di armi miniaturizzate o termonucleari e sistemi MIRV (USA e l’URSS a loro tempo per tali armi dovettero procedere a centinaia di test): ciò riguarda in particolare l’India e il Pakistan, oltre alla Corea del Nord, mentre gli USA dovrebbero possedere sufficiente esperienza e strumenti di simulazione per produrre le nuove testate inter‐operative. Un nuovo ciclo di test nucleari allontanerebbe definitivamente l’entrata in vigore del bando totale dei test nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty – CTBT), firmato nel 1996 ma tuttora privo delle necessarie ratifiche.
Gli intensi sviluppi qualitativi delle forze americane e russe troveranno i due Paesi al termine del New START con una varietà di sistemi nuovissimi o in avanzato stato di realizzazione ed è facile prevedere che sarà praticamente irraggiungibile un nuovo accordo per passare a una fase di ulteriori limitazioni delle forze offensive, in assenza del ripristino di uno spirito di fiducia reciproca e di distensione (il che al momento non sembra imminente). Ciò ritarderebbe ulteriormente il coinvolgimento degli altri paesi nucleari nel processo di riduzione dei loro armamenti.
In questo contesto appare estremamente importante che si crei un consenso il più ampio possibile intorno all’idea di vietare le armi nucleari in sé. Ci vorrà tempo e, verosimilmente tale processo dovrà iniziare dai Paesi che non possiedono centrali o armi nucleari stringendo in una morsa etica i Paesi che non hanno mai ratificato il TNP o la hanno adottato con riserva di procedere sulla strada di un riarmo de-facto.
L’approccio umanitario per il disarmo nucleare è fondamentale, soprattutto in quanto, per il notevole impatto emozionale, può creare un diffuso atteggiamento di rifiuto delle armi nucleari in vasti settori dell’opinione pubblica, in grado poi di influire attraverso i canali democratici sulle posizioni dei governi dei vari paesi, inclusi quelli con armi nucleari. Fornisce inoltre strumenti efficaci per un programma di educazione e di promozione dei principi e dei valori della pace e per il rifiuto della violenza armata.
Resta il fatto che la definizione di un trattato di disarmo nucleare globale senza il coinvolgimento degli stati con armi nucleari e le loro specifiche conoscenze difficilmente potrà affrontare tutti i punti cruciali degli armamenti e individuare le necessarie forme di controllo. La situazione è molto diversa dal trattamento delle mine anti-uomo o delle bombe a grappolo, ove le conoscenze erano diffuse in tutti i dettagli e non c’erano aree coperte da stretto segreto. Ma non c’è altra strada da tentare perché se il duopolio della Guerra fredda spaventava il mondo, una congerie di Stati armati di nuovi strumenti d’offesa nucleare non può che aumentare le possibilità che si crei una situazione di caos nervoso dove un dito, per sbaglio, pigi uno dei numerosi bottoni rossi sparsi nel mondo spalancando le porte all’Apocalisse.
Linkografia
Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty (CNTBT)
Quando l’Italia pensò di uscire dal TNP
2010 Review Conference of the Parties to the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons Final Document
Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), Vienna, 14 July 2015 between China, France, Germany, the Russian Federation, the United Kingdom and the United States, with the High Representative of the European Union for Foreign Affairs and Security Policy and the Islamic Republic of Iran si trova in appendice alla Resolution 2231 (2015) del UN Security Council
Risoluzione 50/1996, Agenda and organization of work – Comprehensive Test-Ban Treaty
Risoluzione S/RES/1887 (2009) Maintenance of international peace and security: Nuclear non‐proliferation and nuclear disarmament, 24 September 2009
Strategic Concept for the Defence and Security of the Members of the North Atlantic Treaty Organisation adopted by Heads of State and Government in Lisbon
Trattato New Start, STrategic Arms Reduction Treaty (New START) è un trattato sulla riduzione delle armi nucleari firmato da Stati Uniti e Russia a Praga l’8 aprile 2010