Arriva la neve e l’Italia si blocca: per pochi centimetri di neve prima Roma e poi Napoli sono capitolate. Ma soprattutto il Paese si è trovato spezzato in due, con la dorsale dell’alta velocità ferroviaria sostanzialmente ferma, prima per un convoglio di Italo in panne e poi per guasti diffusi agli scambi della stazione Termini di Roma. Un problema – quello del malfunzionamento delle scaldiglie, i dispositivi a resistenza che hanno la funzione di scaldare le parti metalliche dei deviatoi in modo che non si blocchino – che ha finito per causare ritardi fino a 8 ore e la soppressione del 20% dei treni a lunga percorrenza e del 70% di quelli del traffico regionale.
Certo le previsioni indicavano da giorni – ne ho parlato anche io – l’arrivo di tese correnti dal Bassopiano sarmatico verso l’Europa e il Mediterraneo ma quello che è accaduto non è proprio quanto prospettavano i modelli. Il vento di Burano (in russo buràn) è un vento molto forte, caratteristico delle steppe della pianura sarmatica, a ovest degli Urali. Viene da N-NE ed è causato da una depressione che sconvolge le condizioni anticicloniche tipiche della zona. È spesso accompagnato da bufere di neve congelata durante la quale i fiocchi caduti a terra vengono sollevati di nuovo e, mescolandosi alla neve che cade, azzerano quasi la visibilità (blizzard); in questo caso assume il nome di пурга, purga. La buriana (dal friulano borana – tempesta di bora – ovvero dallo sloveno burja) quando arriva in Italia porta forti nevicate su tutto l’arco adriatico: inizialmente secco, passando sul Mare Adriatico si carica di umidità scaricandola sulla costa sottoforma di estese precipitazioni nevose anche al piano. Persa l’umidità a causa nell’attraversamento della catena appenninica – dove a causa di una configurazione isobarica piuttosto variegata non subisce il classico effetto di riscaldamento del fohn – irrompe sul tirreno apportando un drastico crollo della temperatura con valori di umidità bassissimi e cielo sereno.
Ma in questi due giorni, le nevicate più copiose sono arrivate sul Tirreno mentre l’Adriatico ha visto fenomeni sporadici (solo oggi ha iniziato a nevicare in maniera copiosa). Il freddo non è stato eccessivo in quanto a Roma è nevicato con appena un grado sottozero mentre a Napoli addirittura con temperature positive. Il freddo è entrato al seguito dei due passaggi perturbati forieri di nevicate al piano e sulle isole tirreniche: non è affatto usuale che si verifichino nevicate con accumuli consistenti a Ponza, Ischia o la stessa Capri. Come non è usuale che ci siano 20 cm di neve a Roma o 10 cm sul lungomare di Napoli. Se a Roma l’ultimo evento per dimensione pari a quello appena accaduto risale al febbraio 2012, a Napoli era dal gennaio 1985 che non si verificava.
È quindi veramente eccezionale che due metropoli come Roma e Napoli finiscano letteralmente in panne in caso di avversità atmosferiche?
In barba alla resilienza, della quale tutti parlano senza conoscerne il senso, le metropoli contemporanee sono estremamente fragili. Parigi, per esempio, che pure nell’immaginario collettivo dovrebbe essere abituata al freddo va puntualmente in crisi con la neve oppure i temporali. Con una previsione di pochi centimetri di neve – 3 per la precisione – lo scorso 13 febbraio la prefettura ha diramato una allerta rossa, invitando i cittadini a starsene a casa. Questo per evitare i problemi che ci sono stati in occasione della nevicata del 7 febbraio: traffico bloccato sui grandi assi autostradali, monumenti e scuole chiuse, difficoltà a soccorrere non solo i senza tetto ma anche chi vive nei grandi palazzoni delle banlieue dove spesso i riscaldamenti centralizzati vanno in blocco. E tutto per meno di 10 cm di neve con tanta ilarità dei cugini francofoni di Montréal. In quell’occasione un TGV è rimasto per ore fermo nella campagna normanna portando a ritardi di oltre 4 ore su tutta la pur eccellente rete francese.
E l’8 dicembre 2017, sempre il freddo, aveva portato al blocco del sistema di controllo della stazione di Parigi Montparnasse con collasso del traffico sull’intera rete.
Sempre a Parigi, nel luglio scorso un temporale da 49 mm in un’ora (49 litri per metro quadro) ha allagato diverse zone della città e anche la famosa metropolitana. S’è dibattuto tanto, non solo in quell’occasione, della necessità di dotare la città di un adeguato sistema di smaltimento delle acque piovane rispetto all’attuale che non raccoglie le acque piovane eccessive perché in un clima dove le piogge ordinarie cadono per lunghi periodi senza eccessi non c’è bisogno di farlo. Così accade che a Roma, dove 50 mm/ora per un temporale sono valori assolutamente normali, ci si lamenta per gli allagamenti e le grandi pozze senza sapere che l’obsoleto sistema di raccolta delle acque meteoriche sia molto più efficace di quello parigino. Perché se a Roma le grandi pozze si riassorbono nel giro di una giornata, a Parigi gli allagamenti di questa estate si sono mantenuti per diversi giorni.
Città in panne per la neve?
Le reazioni nostrane fanno sorridere se si pensa a quelle che, mentre scrivo, stanno imperversando a Londra e nel Regno Unito. Qui sta arrivando il Burano – che in centro Europa spesso assume il nomignolo di Espresso Parigi-Mosca – e con la neve fioccano le polemiche per scuole chiuse e autostrade bloccate. Non fosse per la lingua, semberebbe di leggere un quotidiano italiano.
E se non sono abituati alla neve né a Parigi né a Londra, ci sarà da prendere esempio almeno da Mosca. Beh, non i quella contemporanea che sembra altro posto rispetto alla città che nella seconda metà del Novecento sopportava lunghi periodi di gelo con punte che si avvicinavano ai -40°. Sarà che il tempo è cambiato oppure sarà che la tecnologia che ha accompagnato lo sviluppo moderno spesso è antitetica alla resilienza, fatto sta che la nevicata dello scorso 4 febbraio ha letteralmente fatto impazzire i moscoviti. La precipitazione record di 43 cm in un solo giorno (era dal 1957 che non nevicava tanto), portata da un insolito temporale nevoso, ha mandato la capitale russa nel caos, bloccando treni e metropolitana. Ci sono volute settimane per liberare le strade con sobborghi rimasti letteralmente isolati come fossero in alta montagna.
A Berlino la neve di questi tempi non crea eccessivi problemi, ma i sempre più frequenti temporali – quelli che non definiremo semplici acquazzoni – sono diventati l’argomento più frequente per dare contro all’amministrazione di turno. Ma è il vento, come a Bruxelles e Amsterdam, che preoccupa di più: se l’Europa del Nord dovrebbe essere abituata alle tempeste accade sempre più frequentemente che si finisca a contare danni sempre più ingenti. Tanto che qualcuno parla di eliminare completamente gran parte degli alberi o almeno quelli prossimi alle zone edificate.
Se lamentarci probabilmente è un sano esercizio collettivo per ridurre lo stress quotidiano, dovremmo concentrare parte di queste energie anche sul pianificare città diverse, per il futuro. Città che siano realmente più resilienti, ammesso che, nel mondo attuale, la resilienza non si riveli una chimera. Perché se tutte le nostre città sono accomunate da un fragile destino, non ha senso recriminare contro l’amministrazione di turno: è il sistema economico che ci accomuna ad essere probabilmente antitetico rispetto al raggiungimento di una maggiore resistenza agli imprevisti. Resistenza che si raggiunge solo mantenendo una corretta manutenzione ordinaria: perché le città sono proprio come un grande condominio. Se si riducono le spese progressivamente, è giocoforza che lo straordinario non possa – per nemesi – che diventare ordinario. Proprio come sta accadendo a New York, dove l’eliminazione degli stanziamenti ordinari per la manutenzione della complessa rete metropolitana della città non ha dato grandi effetti per anni. Salvo portare al collasso improvviso dell’intero sistema.