Tempo di amministrative, tempo di annunci: nomi, tanti ma idee poche. La stagione del modello Roma – quella che forse un po’ tutti ricordiamo con malinconia – ha lasciato cose buone, passate e tanta retorica. Oggi, un rudere moderno che si erge alto sulla suburbia sudorientale capitolina e per il quale la Procura ha certificato un danno erariale di almeno 290 milioni di euro ricorda a imperitura memoria che forse qualcosa non ha funzionato in quel modello.
Quel modello si poggiava anche sul “nuovo”, allora, Piano Regolatore Generale: un grande laboratorio nazionale d’Urbanistica che sembrava voler (finalmente) rivoluzionare il modo di pensare la città. Ma quel lavoro è invecchiato così precocemente che molti nemmeno lo ricordano più. A guardare i risultati con qualche ragione: basti pensare a quelle centralità, che si ponevano come presidio alla dispersione urbana. Villes nouvelles in nuce per ristrutturare la suburbia romana (quelle delle zone O e della scellerata espansione a macchia d’olio denunciata da Cederna): come passare dalle luccicanti stelle della teoria alle poco attraenti stalle della realtà. D’altro canto, dimenticato Cederna, siamo ancora qui ad estasiarci di quelli che altro non sono che “lussuosi abusi edilizi in sfregio alla storia“.
Dal versante politico opposto la destra al Campidoglio dice di non avere avuto abbastanza tempo per rilanciare la città dedicandosi con fatica all’ordinario: purtroppo le inchieste sinora sembrano mostrare il contrario.
La questione del nuovo Stadio della Roma mostra quanto sia bipartisan la difficoltà della macchina amministrativa capitolina nel gestire i progetti complessi.
Figuriamoci che fatica di Sisifo sia la pianificazione di lungo respiro.
La durevole guida PD della Provincia, prima e della Regione poi, non sembra essersi interessata della questione romana: in quattro mandati guidati dall’attuale segretario del PD i treni hanno continuato ad arrivare in ritardo. Meglio continuano a non partire proprio e proprio sulle proprie linee, la Lido e la Nord nonostante i finanziamenti incassati nel 2002 (Accordo Stato-Regione, più volte rinnovato) e poi nel 2018 e ancora rimasti inutilizzati. Questo mentre tutt’altra solerzia è stata dedicata ad altri affari difficili da spiegare alla collettività.
Al ritorno al Campidoglio la guida nazionale del PD – per inspiegabili beghe interne che poco importano alla collettività – s’è letteralmente rifiutata di continuare a guidare la città eterna.
Così facendo ha consegnato la guida del Campidoglio ai 5S: il primo colpo grosso del Movimento – prima del 35% delle nazionali – è seguito da tanti scivoloni e qualche luce, come l’approvazione (discutibile, ma è un inizio) del PUMS – il Piano urbano della mobilità sostenibile – oppure dell’ottenimento di circa 1,3 miliardi di finanziamenti per tram e metropolitane.
Se c’è una cosa che gli ultimi trent’anni hanno dimostrato è che tutte le parti politiche dovrebbero fare un passo indietro: Roma non è la loro prima preoccupazione e forse nemmeno la seconda. Non abbiamo altro tempo da perdere ad ascoltare le promesse di chi per decenni avrebbe potuto e non ha fatto. Di chi ha fatto, sbagliando, e preferisce evitare di dare giustificazioni. Di chi ha tramato nell’ombra per propri interessi personali, di chi ha evitato di fare quel poco che poteva fare per non correre il rischio che l’inquilino di turno al Campidoglio ne traesse giovamento.
Sono i cittadini, solo loro che c’hanno rimesso: grazie quindi, non abbiamo bisogno d’altro.
Qualcuno, di fuori, potrebbe dire: vabbè ma ci sono Lega e Fratelli d’Italia. Il problema è che i romani conoscono bene la realpolitik e sanno bene come andrebbe finire: a tarallucci e vino, anzi a trippa e pajata. Un esito difficile da digerire. Peraltro quelle che dovrebbero essere delle alternative politiche sembrano vedere Roma più come una palude che come una opportunità di rilancio. Al più un’occasione per scalare la propria posizione nei sondaggi nazionali.
Per capirci: la Regione Lazio, dopo un processo durato 8 anni, approva il Piano Regionale della Mobilità: ne dà notizia rimandando a un sito dove il piano non c’é, ci sono ancora gli indirizzi del 2013. Per leggere il Piano adottato, bisogna andare sul sito del bollettino regionale e cercare tra le pubblicazioni: è il primo supplemento a quella del 5/1/21. Si tratta di un piano senza tavole, una lunga enunciazione di interventi e nessuna scheda tecnica tantomeno economica. A leggere (pag. 178 del corposo supplemento) che il prolungamento della linea A della metropolitana dall’attuale capolinea di Anagnina fino al Policlinico di Tor Vergata possa costare 200 milioni di euro per poco meno di 6 km, oppure proporre di prolungare la linea D come da progetto 2012 e come riportata nel PUMS fino all’aeroporto di Fiumicino (12 km dal capolinea Corviale della diramazione D2 Trastevere/Portuense) senza un minimo di fattibilità chiarisce bene le attuali capacità pianificatorie degli enti – Regione, Città metropolitana e Comune – che gestiscono la capitale.
No, non c’è tempo per un altro giro sulla stessa giostra. La città deve essere commissariata: ma non come azione transitoria, come fu con Francesco Paolo Tronca. Non un traghettamento, un commissariamento strutturale: una guida tecnica e operativa al 50% del Ministero dello sviluppo economico e al 50% del Ministero delle infrastrutture e trasporti. Nessuna abdicazione della democrazia sia chiaro: le elezioni si svolgeranno ma la Giunta sarà senza portafoglio e avrà il compito di vigilare sull’operato dei tecnici. E di avvalersi degli stessi per studiare la fattibilità di proprie proposte di fattibilità e sostenibilità.
È quello che accadeva in passato a Parigi con il Prefetto della Senna diretta emanazione della Presidenza della Repubblica oppure che accade ancora oggi a Londra con la City che si autogoverna ma di fatto è sotto il controllo vigile del Governo nazionale.
È il momento di pianificare il futuro della città con una serie di interventi che valgono tra 20 (quanto l’attuale amministrazione ha messo nelle proposte del Recovery Plan) e 40 miliardi includendo anche il Piano di sviluppo dell’Aeroporto di Fiumicino. Si tratta di quattro o otto volte il bilancio ordinario della città: troppo per una Giunta. Troppo per la pochezza che la politica tutta sembra in grado di esprimere per la capitale italiana.
Questa struttura commissariale dovrebbe operare su una o, meglio, due consiliature. E deve iniziare dalle (sovra)strutture che governano la città: troppi enti, nani che disperdono le proprie forze a coltivare il proprio orticello e farsi i dispetti. Forse è il momento di riprendere la legge Delrio, rendere realmente operative le città metropolitane. E, almeno per Roma e forse Milano (aggiungerei anche Napoli) valutare se non sia il caso di seguire l’esempio di Madrid, Parigi e Berlino: elevare cioè l’area metropolitana al rango di regione, con tanto di potere legislativo e di parziale autonomia di bilancio. E potrebbe essere utile partire con lo studiare pregi e difetti della riforma francese delle Métropoles del 2014 e del 2017.
Se fallisse anche questo tentativo, se la città fosse ormai un corpaccione molle ingovernabile anche per la struttura centrale dello Stato allora non resterebbe che un’ultima via d’uscita: tornare al Papa Re e rimettersi alla volontà del Signore.
[La foto in apertura, sulle Torri di Tor Bella Monaca, è di Indeciso42, archivio personale]