Ennesimo video paradigmatico degli avvistamenti di cinghiali a Roma. Cosa si osserva? Siamo lungo una strada piuttosto trafficata ma non siamo all’interno dell’area urbana: come nell’85% degli avvistamenti sia a Roma Nord, precisamente in via dell’Acqua Traversa al margine del Parco dell’Insugherata. Quasi la metà dei video che si vedono sui social, talvolta ripresi dalla cronaca locale di Corriere della Sera, Messaggero e Repubblica sono ripresi in via Italo Panattoni, qualche centinaio di metri più a nord.
Nel video si vede una “famiglia” composta da tre femmine e 12 cuccioli (se non ne ho perso qualcuno): notare che avanzano in formazione, una femmina guida, una si pone in posizione centrale e una chiude il gruppo. Corrono, probabilmente di ritorno da una scorrazzata urbana alla ricerca di cibo tra i cassonetti di raccolta. Fuggono spaventati dalle auto, tentando di rientrare nella macchia.
Prima di tutto, non è un problema peculiare capitolino, anzi: spiace che in passato questo tema sia stato trattato per etichettare negativamente la città o la consiliatura politica ma i cinghiali sono ormai una presenza fissa in tutta la fascia temperata del mondo: a mero titolo di esempio, Barcellona, Madrid, Parigi, Berlino, Seul, Tokyo, Hong Kong, Singapore.
Sebbene l’ampia letteratura sul fallimento dell’eradicazione coatta delle specie invasive (dalle zanzare alle cimici, dai ratti ai topolini delle risaie) il fatto che non si parli d’altro – anche tra le istituzioni – la dice lunga della sciatteria con la quale si affronti qualunque questione naturale ormai. La faccio semplice, ma tornerò sul tema in modo più articolato per chi desiderasse approfondire: gli abbattimenti non selettivi sono un palliativo. Se al momento riducono il numero degli esemplari in circolazione locale, non essendo tecnicamente fattibile lo sterminio di tutti gli esemplari diffusi tra Roma e Pescara nel caso, negli esemplari superstiti si indurrà un aumento della fertilità. In Baviera, presso la città di Monaco, nel monitoraggio condotto tra il 2002 e il 2017 si è notato lo sviluppo di una “superfertilità” arrivando a 3 cicli/anno (la gestazione dura in media 120 giorni) allevati in maniera condivisa da più femmine come nel video. In casi non sporadici si è assistito a una riduzione della gestazione anche di 7-10 giorni in media (cosa che accade anche per i ratti, per esempio).
È importante sottolineare che senza un ecosistema sano intorno alle città – e magari anche nelle città – la nicchia ecologica liberata da una specie invasiva sarà occupata in breve tempo da una nuova specie invasiva.
Quindi cosa fare?
Adottare innanzitutto un approccio scientifico nel rapportarsi con la fauna (e la flora, ça va sans dire) selvatica. La soluzione non può essere suggerita da chi il problema lo ha creato (ogni riferimento all’attività venatoria o all’industria alimentare è puramente casuale).
Nell’immediato:
- Adottare contenitori di conferimento dei rifiuti a scomparsa (come questi) entro 1 km dal perimetro di aree naturali protette e zone ecotonali adiacenti.
- Installare recinzione di protezione intorno alle aree naturali protette e zone ecotonali adiacenti, per una distanza di sicurezza di almeno 1 km dalle prime abitazioni.
- Valutare la delocalizzazione dei gruppi familiari che si sono localizzati più in prossimità delle zone abitate senza escludere – come misura emergenziale – abbattimenti selettivi.
Nel medio periodo:
- Studiare i movimenti della fauna selvatica al fine di favorire tutte quelle azioni volte al ripristino del naturale equilibrio predazionale; nel caso operata dal lupo – la cui presenza è ormai documentata anche intorno le città come Roma – e, più recentemente, dallo sciacallo dorato (specie sui cuccioli).
- Vigilare sul territorio in modo da scongiurare qualsiasi immissione – pianificata o meno – di fauna alloctona e di fauna autoctona utilizzata per garantire il mantenimento di un adeguato bacino alla crescente pressione venatoria. A dire il vero ove l’attività venatoria è stata ridotta nel tempo e nell’estensione delle aree abilitate sono documenti ampi benefici in termini di salute ecosistemica ovvero autocontrollo delle specie invasive.
- Attivare dei centri informativi sulla fauna selvatica, dove organizzare laboratori didattici al fine di divulgare la giusta conoscenza per una sana convivenza con tutte le specie che (fortunatamente) coabitano la città e i suoi dintorni.
La questione della Peste Suina Africana
Un discorso a parte merita l’attuale epidemia di PSA. La Conferenza delle Regioni – sotto la spinta di Coldiretti – sta sollecitando un intervento emergenziale che preveda lo “sterminio della popolazione suina selvatica” nel Centronord della penisola.
La peste suina africana è classificata come malattia altamente contagiosa nell’ordinanza sulle epizoozie. È molto meno contagiosa dell’afta epizootica o della peste suina classica, ma uccide oltre il 90% degli esemplari contagiati. Presente nel sangue, nelle feci, nelle urine, nella saliva e nei tessuti (muscoli, organi) degli animali ammalati, il virus della PSA rimane infettivo per mesi nell’ambiente e nelle carni o nelle carcasse degli animali infetti. L’agente epizootico viene trasmesso per contatto diretto fra animali e può diffondersi indirettamente tramite impianti, mezzi di trasporto oppure scarti di carne contaminata smaltiti nella natura. Le attività umane sono le principali responsabili della diffusione della malattia sulle lunghe distanze. Ora, le evidenze scientifiche mostrano che i cinghiali la diffondono lentamente (sono animali piuttosto stazionari a livello territoriale, vivendo entro un raggio di pochi chilometri da quella che considerano casa) e su brevi distanze (il periodo di incubazione è piuttosto breve).
È molto probabile che i casi di positività dei cinghiali urbani (Genova e Roma, per esempio) siano dovuti a focolai locali nei quali i cinghiali hanno contratto la PSA dai rifiuti (ripeto, si tratta di un virus innocuo per l’uomo).
Quindi possiamo anche sterminare, ammesso sia possibile, tutti i cinghiali d’Italia ma resteremo comunque con la PSA che circola negli allevamenti; Maria Luisa Danzetta (Covepi, CNR di Teramo) e colleghi hanno esaminato 1.980 pubblicazioni scientifiche sul tema: nonostante i miliardi profusi, nel periodo 1950-2000 solo in 8 Paesi è stata raggiunta l’eradicazione della malattia. Sia mai il caso che riusciamo ad affrontare il problema alla radice, cioè negli allevamenti e nel nostro distopico rapporto con il mondo animale?
Sitografia
Città di Berlino: consigli per una tranquilla vita in condominio tra cittadini e cinghiali
Il caso di studio di Hong Kong: man mano che i cinghiali si urbanizzano alcune persone tendono a familiazzare sempre più con loro. I cinghiali crescono e le nuove generazioni sono sempre più affini al mondo antropico. Che fare?
La battaglia contro l’invasione dei cinghiali: politica di controllo della diffusione fuori controllo del cinghiale europeo nelle campagne e nelle città del sud degli Stai Uniti.
L’esplosione del cinghiale europeo: come i cinghiali selvatici stanno conquistando l’Europa.
C. Castillo-Contreras et al.: Wild boar in the city: Phenotypic responses to urbanisation, la diffusione dei cinghiali come risposta fenotipica all’urbanizzazione. Il lavoro mostra che l’urbanizzazione può modificare i tratti comportamentali dei grandi mammiferi (come accaduto con i gabbiani, ndr) e questo può avere conseguenze sull’ecologia e sulla risposta alla pressione urbana ecosistemica. La plasticità fenotipica mostrata dai cinghiali fornisce ulteriori e nuove prove sui meccanismi che consentono alle specie sinantropiche di dimensioni maggiori di rispondere all’urbanizzazione. Un fattore che potrebbe diventare rilevante con la crescita stessa dell’urbanizzazione.
C. Conejero, C. Castillo-Contreras et al.: Past experiences drive citizen perception of wild boar in urban areas, studio estremamente interessante sull’evoluzione della percezione dei cinghiali da parte dei cittadini. Gli intervistati hanno risposto che dovrebbero essere adottate misure per ridurre al minimo gli incidenti con i cinghiali (37%) e per aiutare i cinghiali a tornare al loro habitat (27%), mentre il 16% ha scelto di coesistere con i cinghiali nelle condizioni attuali. L’eliminazione di tutti i cinghiali non è stata affatto supportata, anche tra i cittadini con la percezione più negativa del cinghiale. I cittadini con una percezione positiva della presenza del cinghiale nelle aree urbane contribuiscono a rafforzare il fenomeno nutrendo i cinghiali. I risultati raccolti dal gruppo di studio verificano che le variabili socio-demografiche come il genere, l’istruzione e la preoccupazione per la salute pubblica sono meno importanti delle esperienze passate per guidare la propria percezione e spiegare gli atteggiamenti dei residenti. Campagne di sensibilizzazione per una gestione efficace della fauna selvatica urbana sono necessarie per arrivare a una convivenza senza forzature da una parte all’altra del confine delle città.